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Relazione sui restauri  Maggio 2001

(Dott.ssa Lea GHEDIN  – Studio Fenice Restauri)

L’intervento è cominciato dalla quinta cappella di destra per proseguire sulla parete corrispondente all’esterno per i lavori di conservazione del cotto e delle poche tracce rimaste dei dipinti murari. Purtroppo negli anni questi ultimi si sono deteriorati in modo pressoché irrecuperabile. Su questa parete troviamo fregi in terracotta ad ornare la sommità della parete e le monofore quattrocentesche, circondati da figure di santi di grandi proporzioni ormai molto deteriorati: esiste un’incisione che ne riporta i contorni con precisione, eseguita nel secolo scorso, trasmessa

Naturalmente gli affreschi che un tempo ornavano l’esterno della chiesa hanno risentito vistosamente dell’esposizione agli agenti atmosferici: tanto il settecentesco San Giorgio del timpano che gli affreschetti della canonica, come i santi quattrocenteschi del lato meridionale sono ormai divenuti larve di ciò che solo cinquanta anni fa era ancora visibile, con perdite della pellicola pittorica e sfaldamento degli intonaci.


I lavori sono cominciati con un’accurata campagna fotografica, seguita da un rilevamento grafico delle tecniche di esecuzione e dei danni: tracce di scialbo, ritocchi, vecchie stuccature, distacchi, cadute, perdite, colpi di bisturi, efflorescenze. Soprattutto con luce radente, allo scopo di ottenere notizie precise ed esaurienti sulla tecnica pittorica utilizzata. E’ stata individuata la fase del disegno preparatorio in modo da pilotare oculatamente le scelte successive: sotto osservazione il grado di levigatura degli intonaci, l’alternanza del colore dato a fresco e di quello dato a secco,la successione delle giornate, gli interventi precedenti. Le indagini sono proseguite con analisi della temperatura e umidità presente nelle  murature, nonché analisi qualitative e semiquantitative dei sali presenti,volte ad acquisire maggiori informazioni sul degrado dovuto alla risalita di umidità capillare e per poter verificare i risultati dell’installazione dell’apparecchiatura Murtronic.

 
In contemporanea sono stati svolti saggi di pulitura su tutte le superfici presenti, dalla volta allo zoccolo, all’altare, in modo da individuare con precisione  le stratificazioni di materiali non originali. La superficie pittorica degli affreschi è principalmente alterata da tracce di scialbo mal rimosso, in zone ancora piuttosto estese; ritocchi pesanti a calce e a tempera magra del precedente intervento finiscono col deviare la percezione delle immagini e la loro conseguente buona lettura. Abbiamo potuto constatare che con il ritocco si sono inoltre nascosti tutti i colpi di bisturi provocati alla superficie nel tentativo di rimuovere, con i pochi mezzi di allora, gli scialbi di calce.Dopo gli accertamenti di primo esame e la visita della D.L: dott. Bertolotto, si procede con la pulitura delle superfici per rimuovere tutto ciò che è estraneo al dipinto, ne limita la leggibilità e risulta nocivo alla sua conservazione.


Come primo intervento è stato necessario eliminare il particellato atmosferico di varia natura portato sulle superfici dai movimenti dell’aria e dai cicli di evaporazione e di condensazione. Al piano terra si sono subito fissati i fenomeni di pulverulenza più gravi mediante nebulizzazioni fatte seguire da fissaggi trramite carta giapponese, in modo da poter respingere nella posizione originaria i vari frammenti: chiaramente si farà l’intervento quasi a fine lavori, per seguire una logica operativa, ma queste zone erano ad alto rischio e dovevano essere messe in sicurezza. La pulitura è risultata efficace solo mediante l’uso di resine a scambio ionico, con impacchi la cui durata viene stabilita di volta in volta a seconda dello stato di conservazione e del tipo di pigmento usato.
Nel corso del lavoro è anche emerso che la maggior parte delle arcate a fondo rosso è stata completamente rifatta , demolendo i lacerti di intonaco danneggiato e riproponendo la decorazione originale su nuovo intonaco, sul quale è diventata  ad affresco, se non in poche zone, dipinte evidentemente quando l’intonaco era già troppo asciutto ed oggi estremamente incoerenti. In particolare la parete Est sembra aver risentito di danni dovuti ad acqua di infiltrazione, risalenti al tempo in cui questa parete era ancora all’aperto: tali danni sono leggibili anche sul rosone in cotto, dove gli elementi superiori sono stati talmente danneggiati da richiedere la sostituzione.

Nel corso dell’intervento si sono così rivelati particolari prima alterati o invisibili, come il cartiglio della figura di San Pietro, molto più ampio rispetto a prima, e tracce della doratura dell’aureola, indice di particolare preziosità ed accuratezza dell’esecuzione. Anche la fascia superiore del fronte dell’altare doveva essere decorata con foglia d’argento, come è testimoniato dalla preparazione in arancio e dalle tracce nerastre del prezioso metallo, spesso utilizzato in zone secondarie per sostituire, in modo più economico, opportunamente verniciato, l’oro.


Si è potuto anche meglio comprendere dove una pulitura passata, troppo aggressiva, ha causato incredibili danni alla superficie, ancora oggi visibili, per scolature sul lato dell’altare e in volta, dove si sono persi i bellissimi e pregiati cieli azzurri (solo poche tracce sono emerse sui fondi). La zona in assoluto più difficile e più danneggiata è proprio la volta, dove i danni alle coperture sembrano essere stati responsabili fin dall’antico di sollevamenti e cadute della pellicola pittorica, che si manifesta molto deteriorata anche al di sotto dello scialbo: chiaro segno della successione delle vicissitudini conservative.


Mentre le pareti sono ormai completamente pulite e pronte per accogliere il ritocco , la volta richiede ancora molto lavoro, lungo e paziente. Il film pittorico viene consolidato, anche talvolta–a scopo preventivo–prima della pulitura, con l’applicazione di resine acriliche per risparmiare dagli agenti più aggressivi le zone più fragili. Per ripristinare il perduto collegamento materico tra gli strati di intonaco le sacche interne sono riempite con iniezioni di malte idrauliche sfruttando fessurazioni e lacune già presenti.
Nei saggi si sono fatte anche le stuccature con malte di calce stagionata per restauro a basso contenuto salino a cui sono addizionati inerti di opportuna granulometria e coloritura–quali sabbie e polveri di marmo colorate-, per la creazione di giunti strutturalmente equilibrati con l’originale ed in grado di sostenere il ritocco a rigatino. Se le lacune cadono in zone dove il disegno è di tipo seriale, si possono ricucire completamente per mezzo di tecniche di integrazioni ” filologiche”, quali il rigatino ad acquerello, ma la maggior parte del ritocco viene fatta per limitatissime velature, che devono mascherare le cadute della pellicola pittorica e ridare unità alla cromia originale.

CHIESA Dl SAN GIORGIO IN VALPERGA

Breve relazione a fine lavori navata di destra – restauro dipinti

Dott.ssa Lea GHEDIN  – Studio Fenice Restauri

Luglio 2002

I lavori di restauro degli affreschi relativi alla 3a e 4a cappella sono iniziati il 29 gennaio 2002 e sono in corso di ultimazione; si aspetta il sopralluogo della Soprintendenza per dare i tocchi finali, ma il lavoro si può sostanzialmente dire concluso. L’intervento ha riguardato tutte le superfici della cappella, sia dipinte che in cotto. Le superfici, già restaurate nel ’39, dimostravano un modo di operare ormai obsoleto, oggi non più accettato: erano infatti presenti ancora molte tracce di scialbo, coperte da estese ridipinture, che nascondevano la parti originarie.

Già in passato, in una fase pre-secentesca, i dipinti dovevano mostrare seri danni: alcune ridipinture, sui costoloni come anche alcuni dettagli della vegetazione delle Vele della volta,sembrano attestarsi in una fase precedente l’imbiancatura; i problemi erano particolarmente gravi nelle volte, dove gli estesi danni ed i rifacimenti anche nel cotto sembrano testimoniare infiltrazioni consistenti e perduranti dalle coperture fin da epoca molto antica. Il resto dei danni potrebbero essere avvenuti sia negli anni di abbandono che nell’intervento precedente, dove tecniche e materiali di intervento non avevano raggiunto la raffinatezza conquistata negli ultimi anni.

La tecnica impiegata in origine per la stesura delle pitture non era delle più durature: sopra una base ad affresco, il 90% della pittura era stata stesa a calce o con colle, una tecnica che risente piuttosto velocemente del contatto con acqua. Nella mentalità dei restauratori di ormai più di mezzo secolo fa, tali mancanze, e la durezza degli scialbi bianchi, non potevano che essere risarciti con un pesante ritocco, che nel tempo, anche a causa delle alterazioni dei leganti, avevano reso le pitture a chiazze, sorde e confuse.

L ‘intervento di quest’anno ha riportato le superfici alla pellicola originaria; quello che ora vediamo è, nonostante le lacune e la mancanza di dettaglio, quanto fu fatto dai pittori della fine del ‘400, senza sovrapposizioni arbitrarie: così hanno recuperato leggibilità i profeti e parzialmente le scritte dei cartigli, prima abbondantemente ripassate; le bellissime costruzioni goticheggianti dei troni, i cieli dalle nuvole spiraleggianti, le cornici che rifiniscono i cotti, si sono scoperte tracce di una particolare lavoraziane per imitare le stoffe negli abiti dei Padri della Chiesa e di argento sulla veste rossa del Cristo ‘vittorioso’, tali da lasciar immaginare la ricchezza decorativa del ciclo pittorico appena terminata l’esecuzione.

Innumerevoli tracce di scialbo tenacissimo è stato rimosso pazientemente, come da tutte le altre superfici, da resine a scambio ionico, gel chelanti di nuovissima concezione ed un’accuratissima rifinitura a punta di bisturi.

Molte erano la superfici che i precedenti restauratori si erano trovati a dover completamente rifare: tutte le arcate con motivi vegetali su fondo rosso e ben la metà dell’ arcone verso la precedente cappella hanno non solo il dipinto, ma anche le malte degli intonaci completamente sostituite. Si è scelto di mantenere tali rifacimenti dato che al di sotto non ci sarebbe stato più nulla, come verificato dai sondaggi.

Nella 3a cappella si sono ritrovate le originarie decorazioni ed hanno preso risalto le preziose aureole della Madonna in Trono e del San Bartolomeo, rilevate con accuratezza, un tempo senz’altro dorate, il paesaggio, ormai dai colori surreali per la perdita degli azzurri e dei verdi, stesi a secco, e lascianti ora emergere i toni della preparazione stesa a secco, dalle tonalità dal rosso al nero al bordeaux.

Dettagli un tempo ‘particolari’, come la zucca in spalla al San Giuseppe della Fuga in Egitto – che è tornata ad essere un sacco -, trovano migliori spiegazioni, e si possono recuperare alla lettura particolari importanti. Nella scritta sopra il Velum teso dietra la Sacra rappresentazione, per esempio, compare la preziosa datazione del dipinto, 1471, anno della morte del committente.

La grande lacuna che cancella la metà a destra della lunetta viene spiegata dalle foto più antiche: in passato era stata aperta – distruggendo inconsapevolmente  il dipinto – una finestra rettangolare, ad asola, dopo aver chiuso la monofora fittile, ora di nuovo in luce con buona parte degli elementi originari.

Tutte le decorazioni della volta e degli archi, elegantissime, con elementi vegetali e specchiature a finto marmo, erano state pesantemente ridipinte: ed hanno ritrovato ora l’antica freschezza.

Gli apostoli rappresentati negli arconi, di splendida qualità, hanno ritrovato la grafia originaria dei cartigli, dove alcune parole erano state addirittura modificate alla luce di un latino classico, ben diverso da quello quattrocentesco.

La 4a cappella assomiglia in tutto e per tutto, dall’impianto decorativo all’esito conservativo, alla 5a: si sono persi i dettagli che perfezionavano la prima stesura, tranne per pochi particolari che – sebbene un po’ annebbiati – sono ora quelli originari: i troni e gli angeli, i manti, i cieli con quelle strane emanazioni ‘tentacolate’.  Anche qui i colori sono deviati dall’aver perso gli strati azzurri e verdi, incupendo le varie rappresentazioni.

Probabilmente le coperture in questa zona avevano ricevuto una scarsa manutenzione, consentendo infiltrazioni già in epoca precedente all’imbiancatura, che – ricordiamo – si attribuisce alla necessità di disinfettare il luogo di raccolta dei malati durante le pestilenze: particolarmente seria fu quella del Seicento.

Di difficile interpretazione la figura con la Croce rovesciata, forse individuabile come un Cristo Vittorioso sul simbolo della sua Morte, ammantato di rosso come gli imperatori, secondo una probabile iconografia nordica, a cui viene presentato da Sant’ Antonio (tracce di una croce in mano al Santo sono appena visibili).

Interessante l’interpretazione alchemica delle figurazioni della quinta cappella: spesso leprotti e scoiattoli sono stati utilizzati in questo senso, ma la loro ripetitività fa più pensare all’imitazione di un tessuto ricamato; la stessa scelta di rappresentare un ‘velum’ dimostra poi un attardamento stilistico abbastanza normale in questa area geografica, decentrata rispetto alle novità fiorentine e più legata allo stile tardo gotico del Nord Europa. Questo non dovrà far anticipare quindi la datazione della quarta e seguente cappella: ma affidarne piuttosto la paternità ad una bottega più legata alla tradizione locale.

Anche il singolare paiolo in primo piano, con il braccio tagliato, non si spiegherebbe come immagine del crogiolo: le operazioni alchemiche ben raramente venivano rappresentate in modo tanto esplicito, si preferiva piuttosto usare allegorie di pianeti e dei, piuttosto inconsuete peraltro in luoghi sacri.

Il fatto che l’immagine sia tagliata non è molto normale: farebbe quasi pensare che la finestra sia stata aperta successivamente, ma prima della decorazione della quarta cappella, il cui impianto iconografico è invece sicuramente creato in previsione della rappresentazione che vediamo.


Per concessione della rivista Oltre-Cuorgnè (Torino) E mail: oltremagazine@.libero.it

Il pezzo è stato pubblicato sul numero di novembre/dicembre 2002

SAN GIORGIO IN VALPERGA
LA COMETA SENZA CODA

 di Mario Emilio Corino

C’era una volta una cometa, o meglio La Cometa per eccellenza, proprio quella che guidò i re Magi a Betlemme, oltre due millenni fa. I Magi, che erano scienziati studiosi di astronomia,  sapevano che essa doveva apparire nel cielo per segnalare la venuta del Messia, e tutto combinava molto bene con le Scritture. Avrebbe avuto un nucleo centrale, e si sarebbe tirata dietro, nella sua corsa nello spazio, una lunga coda luminosa, come lo strascico di una sposa, leggero e sospeso dal soffio del sole. Ogni sera sarebbe apparsa per indicare la giusta direzione alla carovana di Gaspar, Melchior e  Baldasar, che si misero in cammino a capo di una lunga carovana.
* * *
Oltre 1400 anni dopo, il pittore invitato a Valperga dai conti del Canavese, per abbellire ulteriormente la chiesa di San Giorgio, scelse la venuta dei Magi come soggetto per il fronte orientale esterno della chiesa. Lo fece perché proprio da oriente, dove nasce il sole, arrivarono i regali Personaggi, a capo di uno stuolo di servitori e di cammelli, e perché era opportuno, in un periodaccio di eresie contro la Chiesa, confermare, come in un catechismo figurato, la verità dogmatica sulla natura divina di Gesù.
Nel 1600, poi, i conti fecero costruire una sacrestia che, inglobando il muro meridionale a fianco dell’abside, salvò gli affreschi dalle offese del tempo.Ma abbiamo il sospetto che un evento misterioso abbia cambiato qualche particolare.
* * *
Il Maestro ha una mantellina di cotone plissettata, tutta macchiata di colore, come la faccia barbuta d’artista, per il lavorare sull’impalcato in una posizione non proprio comoda.  Dipinge un paesaggio di prati e di strapiombi, con i pastori in lontananza, mentre guardano verso l’alto appoggiati ai pastorali, uno a cavalcioni di uno spuntone, un poco incosciente, come spesso sono i ragazzini. Appaiono festosi perché è comparso un angelo nel cielo che solleva un cartiglio con il messaggio Gloria in excelsis deo. Un cane abbaia, sorpreso dall’insolita apparizione, mentre le pecore accovacciate riposano. La capanna ha un tetto di paglia e di legno, aperta sulla notte: doveva fare davvero molto freddo, nella mangiatoia. Per fortuna si vedono il testone grigio dell’asino e quello docile del bue che riscaldano d’aria umida la scena; anche se, nell’aprire una porta nel muro, forse nel 600, poi nuovamente richiusa, qualcuno poco rispettoso dell’arte cancellò la Sacra Famiglia.

 
I re Magi sono di fronte all’ingresso. Uno è prostrato nell’offrire i doni, e si è scoperto il capo calvo da saggio; il secondo aspetta il suo turno in piedi riccamente abbigliato, tra ciuffi d’erba ulina, attratto dagli accadimenti in cielo, con un profilo aquilino e la corona; il terzo, anch’egli coronato, ha calzature a punta, come quelle che il Maestro aveva visto ai piedi dei viaggiatori che andavano in Asia, mercanti di sete e di spezie.

Il dito indice della sua mano punta la stella, in alto a destra, al di là del rosone incorniciato di cotto, proprio allo zenith della capanna. La stella è fittamente raggiata; la sua coda si estende,  probabilmente sulla destra,  altrettanto fiammeggiante.

Ma oggi la cometa appare stranamente senza coda, come invece sono abituati a riprodurla da sempre, secondo l’iconografia diffusa, anche i bambini e anche la mia Martina. E’ lei che ha avuto un’intuizione per spiegare l’anomalia, che potrebbe essere confermata dal lavoro dei restauratori, che usano attrezzi minuscoli come bisturi, tamponi e pennellini: sanno scoprire  con attenzione le pitture originali, uniche destinate a rimanere, come oggi impone la filosofia del restauro, ma non riescono a spiegare alcuni dettagli nella stratificazione del colore attorno alla cometa.


Secondo Martina, le cose sarebbero andate come in una favola.   
Bisogna premettere che dentro la chiesa, nella seconda cappella di sinistra, un altro pittore aveva già dipinto la Madonna che regge il Bambino, con un manto di seta leggera.

Una notte di Natale del XVI secolo, particolarmente gelida, il Bambino si lamentava sommessamente del freddo (perché tutte le cose, anche gli affreschi, se fatte con passione, hanno un’anima e parlano a chi sa ascoltare); la Madonna, bloccata sulla parete, non sapeva che fare. Ma la stella nella sacrestia sentì il pianto e decise di privarsi della sua splendida coda, lasciandola andare. Nel buio della notte, lentamente, una luce si infilò nella porticina del presbiterio, scivolò sui muri dell’abside, sopra il Getsemani, sorvolò piano le mura di Gerusalemme, dietro il Golgota, e il palazzo di Pilato, abbagliò Adamo dipinto sul campanile e si allargò infine dietro il manto della Madonna.

Oggi la cometa appare insolita e come a disagio, senza la coda, ma brillante e compiaciuta, pensando alla Madonna, più in là, con un sorriso dolcissimo, sul volto incorniciato da capelli ondulati. Il suo mantello sarà per sempre fiammeggiante, grazie a lei, e diffonderà calore, e il Bambino, anche se tutto nudo, continuerà a sgambettare  beato. 

 
Di notte si sentono ancora altri lamenti, a volte, dentro a San Giorgio in Valperga, ma sono quelli delle anime cacciate da San Michele nella bocca dell’inferno, nella navata centrale (questa, infatti, è un’altra storia).


E’ forse da allora che tutte le comete hanno una coda di ghiaccio, e non più di fuoco, come gli astrofisici hanno scoperto? Non sarà, ma a Martina piace pensarlo, e a me è piaciuto raccontarlo, ora che si avvicina Natale.

(Per concessione  della redazione della rivista CANAVEIS- Cuorgnè)

IL CRISTO DI VALPERGA           


(Riscoperta di un’icona tra il tardo romanico e il primo gotico)

 di Mario Emilio Corino

Un pomeriggio del febbraio di quest’anno Don Domenico Catti, parroco di Valperga, mi telefona con tono eccitato per dirmi:
– Devi venire a vedere cos’ho trovato in canonica. 

Siamo coetanei, esiste una lontana amicizia: se mi chiama con quel tono è per qualche novità positiva. Da qualche anno collaboriamo, lui come gestore responsabile dei beni parrocchiali, io, in quanto membro del direttivo dell’Associazione “Amici di San Giorgio“, per la valorizzazione del patrimonio culturale valperghese; da tempo siamo in contatto per vari progetti e richieste di finanziamenti; immagino che la notizia sia in argomento.
– Subito?
– Vale la pena, ti aspetto.
Arrivo, e in una sala del primo piano della casa parrocchiale, dove sono in corso lavori di ammodernamento, mi mostra, posata su un lenzuolo, una scultura lignea, policroma.
– Per me è gotica. L’ ho trovato per caso durante i lavori, abbandonata in un deposito. – dice.
Essendo lui uno studioso di spiritualità antica e di simbolica, c’è da credergli, ma mi chiedo come sia possibile che un’icona tanto preziosa sia stata dimenticata, e abbia corso il rischio quanto meno di non essere riconosciuta per il suo valore, se non dispersa; è piuttosto questo a rendermi scettico.
– 1300, o anche prima. Potrebbe appartenere alla tradizione del Cristus vigilans, o dell’Uomo del dolori, si inquadra bene in quel periodo. Ci sono altri esemplari alpini di queste sculture, ma questa mi sembra tra le più antiche che si siano conservate
Mi parla delle sfumature di attenzione spirituale verso la figura di Cristo a partire da dopo il Mille, mentre sfiora l’icona con delicatezza. Sente quel bene come appartenergli un poco di più che come semplice membro della comunità parrocchiale e curatore del suo patrimonio, come se sifosse fatto ritrovare da lui, piuttosto che il contrario. In ogni caso, la riscoperta ne consentirà la fruizione, l’ammirazione e soprattutto l’espressione di fede e d’amore dei Valperghesi e dei visitatori da fuori.

E’ orgoglioso e bisogna dargli atto della competenza e ascrivergli il merito del salvataggio.

* * *
Aiuto il Don a sistemare meglio la scultura. La adagiamo (mentre pensiamo entrambi “la deponiamo”) con delicatezza sull’assito, orizzontale. Lo sguardo è rivolto verso l’alto, ma, stando così a terra, ora è come se non abbandonasse chi l’osserva, quasi animato.
Le braccia incuriosiscono immediatamente il profano d’arte scultorea, connesse al torso con tenoni di legno, rese ripiegabili anche nei gomiti con una giuntura a cerniera, entrambe di fattura più rozza del corpo e quindi non coeve, quando quelle originarie, imperniate anch’esse, come rivela la conformazione del torace, si allargavano in orizzontale.
Don Domenico la riguarda. Ne solleva un braccio disarticolato per ricomporlo meglio, piano, per non guastarlo, o forse per non fargli male.
– Era un Crocifisso, poi lo hanno riadattato, vedi i piedi? Erano poggiati sopra il suppedaneo del montante, il destro sopra al sinistro, per essere fissati con un solo chiodo, come dietro l’altare di san Giorgio. Hai presente? La pittura residuale della scena del Golgota sullo sfondo delle mura di Gerusalemme? Così lo si comincia a rappresentare nel XIII secolo. Questo elemento lo data “in poi”. Chissà che non venga da lì, dalla comparrocchiale sulla collina, la nostra chiesa più antica.
La scultura a tutto tondo, salvo che nel dorso parzialmente svuotato e appiattito, ne conferma l’esposizione originale contro una superficie regolare. Raffigura un corpo verticale, rigidamente composto. Il corpo è stato (forse più volte) ridipinto con tragiche gocciolature di sangue. La sua nudità è protetta da un perizoma a pieghe pesanti, come una veste cadente fin quasi alle ginocchia. Quel tipo di pieghe risulta essere uno stilema dell’epoca a cavallo tra la tradizione romanica e il gotico delle Alpi. Una veste rossa lo cinge alla vita come un perizoma e ricade in pieghe pesanti fin sopra alle ginocchia.

Rispetto ai Rex Iudeorum barocchi che siamo più abituati vedere, le ginocchia non cedono che per accenno, nello svuotamento di forze dell’agonia, il corpo non si torce in spasmi tragici, il capo non si reclina drammaticamente sulla spalla.
Per questo risulta accettabile, anche sul piano anatomico, la destinazione che l’icona subisce posteriormente all’ideazione. Ora, appare infatti, riadattato come un Ecce homo che, per rimanere ritto su qualche piedistallo ha subito una parziale mutilazione delle falangi dei piedi, mediante una piallatura in orizzontale.
Il corpo scolpito è fatto scendere dalla croce, nel riuso, per collocarlo cronologicamente in un’ora arretrata, a dopo il giudizio di Pilato.

Sulla fronte e sulle tempie sono conficcati tre chiodi che dovevano sostenere, mimetizzati, una corona di spine.
– La vernice delle braccia è più sottile, hai notato? Ci sono meno passate, ergo sono più recenti.
I membri di qualche confraternita dal Seicento in poi doveva aver deciso di farne oggetto di compassione per qualche ricorrente rappresentazione, durante le liturgie pasquali. Forse la rivestivano di una tunica rossa sulle spalle. Forse portava una parrucca . L’articolazione delle braccia doveva essere funzionale a un rito di teatrale vestizione fortemente emotivo, catechistico, che ripercorreva la fase del giudizio della Passione.
Il Cristo esposto in croce nella precedente composizione doveva avere chiome fluenti scolpite nel legno e un diadema in testa, simbolo della regalità trionfante sulla morte. Lo si intuisce dai segni di rimaneggiamento e appiattimento della testa, e inoltre da alcune tracce malcelate dalla ridipintura.

Se non fosse per la barba, che rimane invece intatta, lunga e con un accenno di divisione in due boccoli, con la testa così nuda, così elementare nella sua compostezza, mi ricorda qualcosa del Cristo iconograficamente visto da Pisolini.
Nell’ultimo adattamento, in cui è stato ritrovato, regge ancora con la destra lo scettro della derisione, una canna palustre sfilabile dal pugno. La sinistra cade lungo il corpo e poteva essere anch’essa ripiegata sul ventre, forse la si poteva legare all’altra nel rito commemorativo. Esposto dai manigoldi alla folla, umiliato e ferito, rivela invece una grande e composta dignità regale, che apparirà ancora più maestosa, staccata dal suolo, contro il cielo del Calvario.
– Dobbiamo restaurarlo e trovargli una sistemazione degna, dice il Don. Mi piacerebbe valorizzarlo come Cristus vigilans, deposto ma con gli occhi aperti, premessa di resurrezione, di trionfo sulla morte, come talvolta si faceva di queste icone, a cui ridipingevano occhi aperti sulle palpebre chiuse; vorrei poterlo guardare intimamente nella celebrazione eucaristica, su una mensa trasparente, così che fosse protetto ma ben visibile da tutti e da vicino. Sentiremo la commissione liturgica.
La testa appena ripiegata in avanti, nella posizione deposta in cui lo abbiamo sistemato, l’Uomo ci appare come in un tentativo di sollevarsi, come a chiedere solidarietà.
Immaginato sulla croce nella composizione originaria, è come se esprimesse compostezza nella sofferenza, in contrapposizione consolatoria con la situazione senza vie di uscita, come nel dire agli astanti, prima dello smarrimento del Lamma sabactani:
«Sia fatta la tua volontà», secundum scripturas.
Chiunque lo veda non può rimanere indifferente allo sguardo dell’icona; gli occhi, scolpiti e dipinti, non possono non scolpire e illuminare a loro volta l’animo umanamente sensibile, anche se non predisposto dalla fede. Può apparire sereno se immaginato sulla croce; può essere letto come smarrito e trepidante (comunque non spaventato), consapevolmente rassegnato sul suo destino, fustigato, sofferente e deriso, se immaginato nel cortile di Caifa.

* * *
Ora è il caso di comunicare la notizia alle Soprintendenze e alla Commissione liturgica metropolitana. Verranno in tanti esperti a vederlo: gli ispettori dei Beni Artistici, Bertolotto, e Scalva dei Monumenti, Don Cervellin della Curia, Roggero, past preside di Architettura e Gentile past Soprintendente Archivistico per il Piemonte e Valle d’Aosta e poi i restauratori Ghedin e Tibaldeschi di Nova Folia per una prima ipotesi di intervento di restauro. Tutti confermeranno l’eccezionalità del reperto e la necessità di una degna collocazione.
Pensiamo di farne il punto focale della nuova cappella invernale, che nascerà dalla ristrutturazione di due vani tra la Sacrestia nuova e il Presbiterio della Chiesa della SS. Trinità.
Rinunceremo di buon grado, lui come celebrante io come curatore del progetto architettonico, all’idea dell’altare-teca, accettando che non sono consentite interpretazioni non equilibrate dei simboli dell’attuale liturgia: altare-ara-Cristo medesimo nel sacrificio, sede-Cristo capo e ambone-Cristo Logos; ci convinceremo che la sua esposizione dovrà essere ritta, centrale, sopraelevata. Ciò consentirà comunque, per via dello sguardo inclinato, sia un intenso rapporto devozionale con i fedeli che gli si avvicineranno, sia, per soddisfazione degli esperti, un’esposizione iconograficamente coerente.

Dietro l’altare, la riserva eucaristica sarà costituita da un tabernacolo intagliato e scolpito della prima metà del Seicento, rinvenuto anch’esso, inutilizzato, tra gli oggetti liturgici della Parrocchia, in cui per singolare coincidenza, è rappresentato un Ecce Homo con il mantello e lo scettro.
* * *
Gentile si rammarica che la riscoperta non sia avvenuta prima, in tempo per la Mostra di Palazzo Madama a Torino di sculture tra il Gotico e il Rinascimento. In una dotta relazione analizza sul piano stilistico, storico e iconografico l’icona, senza dissimulare un’ammirata partecipazione, e ne anticipa addirittura la datazione, rispetto alle prime previsioni, con dovizia di citazioni:
…una delle varie figure che, specialmente tra il Seicento e l’Ottocento, erano destinate ad esser vestite ed esibite in particolari ricorrenze, ovvero in una stabile sistemazione devozionale…

un raro Crocifisso medievale, situabile nei primi decenni del ‘200, al trapasso tra l’ultima tradizione romanica e i primordi del gotico …
…la tipologia del Crocifisso quale si configura in quel volgere di tempi e di concezioni, ampiamente in Europa, e tra l’area padana e le Alpi, mantiene ancora, pur con intonazioni e soluzioni variabili in cui affiora la considerazione dell’umanità del Cristo, la raffigurazione del Salvatore non umiliato dalla sofferenza e dalla morte ma regale e trionfante, gli occhi aperti…
…un Cristo dunque ancor regale e sacerdotale che risente dell’immaginario della Redenzione quale si era imposto tra il decimo secolo e la fine del XII, in epoca ottoniana e romanica: si pensi ai possenti, grandi Crocifissi d’argento delle cattedrali di Vercelli e di Casale…
…se cerchiamo riscontri non lontani per una tale evoluzione dobbiamo pensare al Crocifisso di St. Martin nel Vallese (dell’inizio del ‘200)1
Le restauratrici hanno analizzato il reperto e parlano il linguaggio distaccato dei tecnici:

La scultura misura 130 cm di altezza, per una larghezza massima di 35.
La materia lignea si presenta usurata soprattutto nelle zone aggettanti. Sono altresì visibili fratture, soprattutto in corrispondenza delle dita delle mani e dei piedi. Gli snodi delle braccia sono assai allentati, specie quelli della spalla destra, e soggetti a corrosione, come i chiodi sul capo. La scultura appare molto sporca e non si esclude che sia stata più volte ridipinta, specie sul volto. Sono evidenti le tracce di aggressione da xilofagi.
Prima dell’intervento sarà necessaria effettuare dei saggi sulle varie tipologie di superficie e di colore, individuando quelle a più mani. Il restauro dovrà restituire l’aspetto originario, in un versione intrinsecamente coerente, chiarita definitivamente la interpretazione iconografica. Le fasi dell’intervento passeranno attraverso una completa documentazione fotografica anche all’infrarosso e riprese documentarie digitali, la ripulitura con miscele tensioattive per tamponamento, la disinfestazione biologica, il consolidamento del supporto ligneo con eventuali integrazioni materiche, la stabilizzazione della pittura in relazione alla eventuale sottostante ammanitura, con infiltrazione di resine.



– Sai qualcosa dei pareri?
Freme Don Catti, in attesa di tutte le autorizzazioni, e non si scoraggia sui costi dell’intervento. Vuole restituire l’icona, prima del prossimo Natale, alla compassione e alle preghiere dei devoti; ma è tutta la comunità a vedere accresciuto il proprio patrimonio artistico con un altro notevole reperto, espressione di una cultura desueta, per certi aspetti rimasta sconosciuta, che si avvaleva anche di espedienti scenografici per alimentare la fede.
Il “Cristo di Valperga”, con la sua rara suggestione, ci permette di riallacciare preziosi fili con il nostro passato.

Per gli esempi qui citati nell’evoluzione tipologica del Crocifisso in Piemonte e in Valle d’Aosta cfr. E. Rossetti Brezzi, Le vie del gotico in Valle d’Aosta, in Gotico in Piemonte a c. di G. Romano, Torino 1992, pp. 293, 304, che data le prime tre opere dopo la metà del ‘200 e le due aostane all’inizio del ‘300.
Il Cristo di St. Martin nel Vallese è considerato di concezione ancora romanica da E. Reiners, Burgundische-Alemannische Plastik, Strassburg 1943, pp. 58-59.

San Giorgio. Una storia sotto la leggenda.

Festeggiato il 23 aprile, san Giorgio martire è venerato in Oriente come uno dei  Quattordici Santi Ausiliatori, mentre in Occidente, nonostante la larga popolarità guadagnata nel tempo, il Calendario Generale promulgato sotto Paolo VI considera “facoltativa” la sua memoria. Il provvedimento, dettato dalla necessità di separare la storia dalla leggenda,  nulla toglie però al fascino di questo personaggio forse nativo della Cappadocia, forse soldato quantunque il suo nome significhi “contadino”, e sicuramente martire ( si vuole nel 303) sotto Diocleziano

Fermo restando l’approvazione del suo culto da parte di papa Gelasio nel 494, la fama di san Giorgio cresce rapidamente poco più di un secolo dopo, a seguito del ritrovamento della sua tomba a Diospolis (Lydda, Ludd) in Palestina, a contrasto della tradizione che lo indicava martirizzato a Nicomedia (oggi Izmit) in Turchia. Già nell’VIII secolo, infatti, san Giorgio è proclamato protettore della cavalleria in Inghilterra , per poi divenire più tardi patrono dell’intero Paese. Qui, nel 1222, si stabilisce anche l’obbligatorietà della sua festa, mantenuta dalla riforma anglicana, e qui, nel 1284, compare anche la bandiera rosso-crociata che da lui prende il nome.

Prototipo prima del soldato cristiano intrepido di fronte al martirio, come  ricorda un inno di Teodoro Studita ( VIII secolo), poi del cavaliere cristiano secondo gli ideali della cavalleria, San Giorgio ha dato origine ad una vasta iconografia, nella quale è riconoscibile per la corazza, la lancia, la spada, il vessillo e/0 lo scudo rosso- crociati e, naturalmente, il drago. Questi è di solito raffigurato nell’atto di essere ucciso o calpestato dal santo, ma anche ammansito e portato al laccio dalla principessa salvata.

Le origini di tale leggenda, che avrebbe avuto per luogo d’azione la città di Silene in Libia, sono oscure. Secondo gli studiosi , essa sarebbe nata in Italia. Comunque stiano le cose, una narrazione completa dell’episodio del drago e del martirio del santo appare nella “Legenda Aurea” (siamo nel XIII secolo) del Domenicano Iacopo da Varagine, il quale premette però che il tutto ” si pone tra le scritture non autenticate del Concilio generale di Nicea”. Egli prende insomma le distanze da quanto di popolaresco si è  sovrapposto alla testimonianza di fede data dal santo con il suo martirio. Ed è da questo, e non certo dalla fioritura delle fantasie, che ordini cavallereschi, città ( Genova, Ferrara e molte altre) e organizzazioni come i Boys Scouts, hanno tratto motivo per individuare in san Giorgio il patrono per eccellenza.

Costanza M. Tibaldeschi   
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Rappresentazione di S. Giorgio nel timpano della chiesa (oggi scarsamente visibile)

NOTIZIE GENERALI SULLA CHIESA E SULL’ASSOCIAZIONE

La Chiesa di San Giorgio è certamente uno dei monumenti medievali più importanti dell’Alto Canavese. Le parti più antiche della Chiesa e il campanile risalgono al XI secolo, e sono quindi coeve del Castello di Valperga, al quale la Chiesa è adiacente. La Chiesa subì successivi ampliamenti, il più importante dei quali (anche se non l’ultimo) risale al XV secolo. Pur essendo parte del complesso del Castello, la sua utilizzazione non era riservata ai soli Conti di Valperga, ma era aperta al popolo e svolgeva la funzione di chiesa parrocchiale.

Per dar lustro alla propria casata e manifestare la propria potenza e ricchezza, i Conti di Valperga fecero affrescare la parte quattrocentesca della Chiesa; vari Maestri vi lavorarono, ma solo di uno di essi (Pietro de Scotis, che operò nella seconda metà del Quattrocento) si hanno testimonianze; in vari affreschi comunque si riconosce la scuola di un altro grande pittore dell’epoca, Giacomo Jacquerio (che operò in quel periodo nella Chiesa di Sant’Antonio di Ranverso).  La particolarità che rende la Chiesa di San Giorgio quasi unica nel suo genere è che gli affreschi ricoprivano sia le pareti interne sia quelle esterne. Tali affreschi, insieme con le decorazioni in cotto delle finestre, rappresentano gli elementi di maggiore rilevanza artistica di tutto il monumento.

La pestilenza del ‘600 indusse a utilizzare la chiesa quale ospedale o lazzaretto, e per motivi igienici le pareti vennero completamente ricoperte di calce, cosicchè gli affreschi interni scomparvero alla vista e ben presto se ne perse addirittura la memoria: testimone di ciò è il fatto che il Bertolotti, nel capitolo della sua opera “Passeggiate nel Canavese” dedicato a Valperga, fa menzione della Chiesa di San Giorgio, ma non vi è nessun cenno agli affreschi interni.

L’importanza artisica del monumento, anche in assenza degli affreschi interni, era ben nota e riconosciuta, tanto è vero che nella seconda metà dell’800 l’architetto D’Andrade, al quale si deve il Borgo Medioevale di Torino nel quale volle riprodurre gli elementi più significativi dal punto di vista artistico e architettonico del Piemonte, prese a modello, per la facciata della Chiesa del Borgo Medioevale, proprio le finestre in cotto e gli affreschi esterni della Chiesa di San Giorgio di Valperga.

Con il trasferimento, all’inizio dell’800, della Parrocchia nella più comoda e più grande Chiesa della Santissima Trinità al centro del paese, la Chiesa di San Giorgio venne praticamente abbandonata. Solo intorno al 1930, grazie al fattivo interessamento del Senatore Giorgio Anselmi di Valperga, vennero effettuati studi e rilievi sul monumento e vennero riportati alla luce gli affreschi interni che vennero sottoposti ad un primo intervento, in realtà alquanto discutibile, di restauro.

L’importanza dei cicli pittorici rappresentati negli affreschi interni appena ritrovati fu riconosciuta dagli esperti dell’epoca, ma gli eventi bellici, la carenza di fondi e una generale scarsa attenzione alla conservazione delle cose del passato non consentirono interventi più efficaci, cosicchè la Chiesa e i tesori di arte in essa custoditi ripiombarono in uno stato di quasi totale abbandono: infiltrazioni di acque piovane misero in pericolo gli affreschi interni e gli affreschi esterni, esposti alle intemperie e agli inquinanti, andarono perduti, tranne uno che, in occasione di uno degli ampliamenti, venne incorporato nella cosiddetta “Sacrestia Nuova” e, grazie a tale fortunata coincidenza, è ancora oggi visibile in tutto il suo splendore. Degli altri rimangono le copie che il D’Andrade provvide a collocare all’esterno della Chiesa del Borgo Medioevale di Torino.

Nel 1996, allo scopo di arrestare il degrado altrimenti irreversibile a cui era esposto il monumento e di recuperare e valorizzare quanto era ancora recuperabile, un gruppo di volonterosi Valperghesi ha costituito la “Associazione Amici di San Giorgio in Valperga”.

Le finalità dell’Associazione sono ben chiarite all’art. 2 dello Statuto che al par. 2 recita:

“In particolare, in relazione alla chiesa di San Giorgio e agli altri monumenti, (l’Associazione) si propone di:

· far conseguire ai propri associati e ai terzi una approfondita conoscenza storica, artistica, architettonica ed archeologica degli stessi;

· salvaguardarne e diffonderne l’immagine;

·  progettare, realizzare, sostenere e favorire studi, ricerche e pubblicazioni;

·promuovere, di concerto con la Parrocchia, gli Enti territoriali (Comune, Provincia, Regione, Comunità montana, ecc.) e le competenti Soprintendenze, iniziative dirette a favorirne la manutenzione, il restauro e il riuso;

· organizzare, di concerto anche con altre associazioni e organizzazioni locali, visite guidate, attività culturali, ricreative e dello spettacolo (quali conferenze, convegni, concorsi, mostre, concerti e simili) tese alla valorizzazione di tali monumenti.”

Nel Novembre 2001 l’Associazione, a seguito di modifica di Statuto, è stata riconosciuta Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS)

Per il conseguimento dei propri fini istituzionali, inoltre, l’Associazione ha stipulato una Convenzione generale con la Parrocchia di Valperga e la Curia di Torino, che consente all’Associazione stessa di operare all’interno della Chiesa di concerto con gli stessi Enti.

L’attività svolta dall’Associazione dalla sua fondazione a tutto il 2002 è illustrata in altro documento. Ulteriori e più dettagliate informazioni sulla Chiesa si trovano nel pieghevole illustrativo allegato.  

Sul sito Internet: www.amicisangiorgiovalperga.it

si trovano informazioni, oltre che sulla chiesa (corredate di alcune immagini), anche sulle attività in corso da parte dell’Associazione.

Ulteriore contatto:

Prof. Mario Pent – Presidente dell’Associazione

V. Gallenca 15 – 10087 VALPERGA

Tel. 347-386.55.92 – e-mail: pent@polito.it


Relazione sull’attività dell’Associazione nel periodo 1997-2002

Dicembre 2002

1.   Stato dell’Associazione

L’Associazione è nata il 22 Novembre 1996 per volontà di  24 soci (i soci fondatori) che hanno sottoscritto davanti al Notaio Presbitero di Cuorgnè l’atto costitutivo dell’Associazione. Attualmente l’Associazione conta 102 membri. Di essi, 46 hanno la qualifica di “Guida”, nel senso che prestano o hanno prestato la loro opera come guide turistiche per la Chiesa di San Giorgio.

Nel Novembre 2001 l’Associazione, a seguito di modifica di Statuto, è stata riconosciuta Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS).

2.   Azioni di manutenzione, valorizzazione e restauro della Chiesa e di altri  monumenti di interesse.

L’Associazione ha curato i seguenti interventi:

·         Rifacimento della copertura della Chiesa

·         Opere di miglioramento dell’accoglienza turistica (servizi, chiostro, ecc.)

·         Opere di risanamento contro le infiltrazioni di umidità nei muri perimetrali della chiesa, preliminari a qualunque intervento di restauro degli affreschi

·         Restauro conservativo degli affreschi interni: è stato completato l’intervento sugli affreschi della navata destra, è in corso il restauro della navata sinistra, mentre restano da eseguire i restauri della navata centrale, del presbiterio, dei fregi in cotto interni ed esterni e degli arredi lignei

·         Documentazione fotografica digitale degli afreschi e degli interventi eseguiti.

·         Rifacimento dell’impianto elettrico e di illuminazione dell’interno della Chiesa (appalto in corso di aggiudicazione)

Tutte tali attività sono state svolte sotto la direzione artistica della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Torino: con essa è stato concordato il programma generale degli interventi nonché la successione degli interventi stessi in ordine di priorità, e dalla stessa Soprintendenza si sono avute indicazioni per l’individuazione degli esperti a cui affidare l’esecuzione dei restauri.

Per tali attività sono stati utilizzati finanziamenti della Regione Piemonte, della Fondazione CRT e della Fondazione San Paolo, per un ammontare complessivo, a fine 2002, di circa 300.000 €

3.            Azioni di promozione culturale ed artistica della Chiesa e di altri monumenti di interesse

In questo ambito l’attività dell’Associazione ha riguardato i seguenti aspetti:

·         la realizzazione di materiale documentario: è stato realizzato un opuscolo illustrativo della Chiesa di San Giorgio, una pubblicazione di facile consultazione ma completa nelle informazioni essenziali; inoltre alcune delle immagini più significative tratte dagli affreschi della Chiesa sono state utilizzate per la realizzazione di Calendari

·         l’apertura al pubblico della chiesa di San Giorgio nelle domeniche dei mesi estivi, oltreche in giornate particolari (la giornata di “Città d‘Arte a Porte Aperte” organizzata dalla Provincia di Torino, le rievocazioni medievali organizzate dalla Associazione Promoval e la Fiera Autunnale di Valperga organizzata dalla locale Pro Loco). Nelle giornate di apertura l’Associazione ha assicurato la presenza di guide turistiche per l’illustrazione delle opere al pubblico, e di accompagnatori, con funzioni di presidio e sorveglianza.

·         L’organizzazione di visite guidate per gruppi che abbiano richiesto espressamente la possibilità di accedere al monumento.

·         L’organizzazione, annualmente a partire dal 1999, di una piccola stagione musicale con concerti di musica classica (si veda il documento allegato)

·         L’organizzazione di corsi di aggiornamento e di formazione per le guide turistiche: tali corsi hanno riguardato gli aspetti architettonici dell’arte medioevale piemontese, gli aspetti pittorici e decorativi, e l’analisi dettagliata delle opere artistiche conservate nella Chiesa stessa.

Per queste attività l’Associazione ha avuto contributi finanziari dalla Regione Piemonte (attraverso Piemonte Musica), dalla CRT, dal Comune e da imprenditori locali.

4.            Azioni di partecipazione ad iniziative di altri soggetti presenti sul territorio.

La politica seguita dall’Associazione nei confronti di altre realtà presenti sul territorio (Comune, altre Associazioni locali, Ente Parco, Comunità Montana, Provincia, Regione, ecc.) è sempre stata orientata alla ricerca di rapporti di buon vicinato e, ove possibile, di collaborazione in varie iniziative; questo nella convinzione che le sinergie che nascono da operazioni di questo genere possono contribuire in modo significativo alla diffusione della conoscenza sia dell’Associazione stessa, sia della Chiesa di San Giorgio e degli altri monumenti di interesse, e pertanto rientrano in pieno nelle finalità per le quali la stessa Associazione è stata costituita.

Fra le varie azioni intraprese dall’Associazione in questo senso vanno ricordate:

·       La partecipazione al cosiddetto “Circuito dei Castelli Canavesani” organizzato dalla Regione Piemonte e gestito dall’allora A.P.T. di Ivrea (1997)

·       La partecipazione all’iniziativa della Regione Piemonte “Musica ai Sacri Monti” (1998)

·       La partecipazione alla manifestazione “Città d’Arte a Porte Aperte” organizzata dalla Provincia di Torino. (a partire dal 1998)

·       La partecipazione alle manifestazioni organizzare dalla Pro Loco di Valperga e dal Comune nel quadro della Fiera Autunnale di Valperga, con l’organizzazione di un Concorso Fotografico

·       La partecipazione alle manifestazioni organizzate dalla Associazione Promoval nel quadro delle Rievocazioni Medioevali di Settembre.

Per queste attività l’Associazione ha potuto fruire di contributi della Regione Piemonte, della Provincia di Torino e della Comunità Montana “Alto Canavese”.

   Il Presidente

(Prof. Mario Pent)

LA NUOVA CAPPELLA INVERNALE DELLA CHIESA PARROCCHIALE

di don Domenico Catti

La nuova cappella invernale è stata realizzata riutilizzando due locali-magazzino. Il progetto e la direzione dei lavori sono dell’ arch. Mario Corino. Il progetto opera una felice sintesi tra la valorizzazione dell’antico (la statua di Cristo, il Tabernacolo) e i principi proposti dalla riforma liturgica (l’altare e l’ambone di pietra). L’Ufficio Arte Sacra della Curia di Torino, le Soprintendenze ai beni architettonici (arch. Scalva) e ai beni artistici (dott. Bertolotto) hanno seguito ed approvato i lavori.

LA STATUA DEL CRISTO

È una delle più antiche del Piemonte. Ritrovata tra gli arredi della Sacristia, si presentava così elaborata e trasformata – intorno al XVI secolo – da rendere quasi irriconoscibile la sua identità originaria. Le fattezze tardo romanico-pregotiche sono state riconosciute e documentate dallo studio del prof. Guido Gentile:

 l’opera risale ai primi decenni del XIII secolo.

Si trattava di una statua di cristo in croce con i caratteristici occhi aperti: rappresentazione di origine bizantina di cui si hanno tracce fino al XIV secolo.

Il Cristo in croce è tutto proiettato alla Risurrezione, come Lui stesso aveva anticipato: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me’ (Gv 12, 32).

Troneggia la persona  del Cristo; poco contano le pur terribili sofferenze che l’hanno condotto al calvario e alla morte.

È il Cristo Signore con il diadema regale sul capo (non con la corona di spine), il Vivente (gli occhi sono aperti), che continua a chiamare tutti ad essere suoi discepoli.

Nel XVI secolo la statua del Cristo è stata calata dalla croce e adattata alle esigenze della nuova spiritualità, ben documentata da noi nella Chiesa di San Giorgio. Dopo S. Bernardo, S. Francesco e la ‘devotio moderna’ (famoso il libro ‘L’imitazione di Cristo’), l’accento si spostò dalla persona del Cristo morto-risorto, alla contemplazione delle sue sofferenze, della sua passione, della sua morte.

È l’epoca in cui la spiritualità si esprime attraverso le sacre rappresentazioni della passione.

A questo scopo la statua del Cristo è stata  calata dalla croce, le si pose in capo una corona di spine al posto di quella regale, le braccia sono state sostituite e incrociate: in mano si mise una canna come scettro. Verosimilmente una lunga tunica rivestiva la statua: ecco la nuova rappresentazione.

Il Cristo così ‘trasformato’ veniva a rappresentare l’ ‘Ecce homo’ (così gli esperti designano il Gesù presentato da Pilato alla folla, deriso e umiliato).

IL TABERNACOLO

 La devozione a Gesù oltraggiato (L‘Ecce homo’) è attestata a Valperga da un’altra opera, volutamente ora restaurata e posta nella nuova cappella accanto al Cristo.

Si tratta di un Tabernacolo, anch’esso ritrovato nei depositi della Sacristia. Caso molto originale, sull’anta che funge da porticina del Tabernacolo non troviamo simboli eucaristici, ma ancora la figura di un Cristo ‘Ecce homo’, con la classica tunica e le mani incrociate. Il collegamento spirituale tra le due opere (il Cristo e il Tabernacolo) è chiaro, segno di una devozione al Salvatore umiliato e deriso, come già attestato in Valperga dagli affreschi della Chiesa di San Giorgio. Rappresentando Cristo umiliato sull’antina del Tabernacolo, l’anonimo artista vuole invitare il fedele a riconoscere in modo più diretto il legame tra il dono di Cristo nella sua passione e morte e il suo dono nell’Eucaristia.

L’ALTARE E L’AMBONE

Secondo le norme liturgiche, sono in pietra (di Luserna).

L’incisione sulla pietra dell’altare  recupera un antico simbolo dei primi cristiani: il pesce. Come si sa, le singole lettere della parola greca per ‘pesce’ (‘ichthỳs’) sono le iniziali delle parole che compongono la professione di fede  “Gesù, Cristo, di Dio Figlio, Salvatore”. Il cesto con i pani rimanda all’Eucaristia. In essa cristo stesso, oggi, continua a donarsi a noi.

Sull’ambone sono incise la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco (alfa e omega). Il riferimento è al testo dell’Apocalisse: “ Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Ap 1, 8). Se la classica tradizione giudaica definiva Dio ‘Colui che è, che era e che sarà’, l’Apocalisse parla di Dio come di ‘Colui  che è, che era e che viene’: cioè oggi, in Gesù Cristo, Dio è con noi. È Gesù Cristo la Parola del Dio vivente, annunciata al mondo attraverso la Chiesa.

Come l’altare è segno della presenza di Cristo nell’Eucaristia, così l’ambone è segno di Gesù cristo, Parola del Dio vivente.

RINGRAZIAMENTI:

Quattro ditte di Valperga hanno collaborato: le opere in muratura sono della ditta Turco Domenico,  l’impianto elettrico e antifurto sono opera della ditta CEI, le opere di carpenteria sono della ditta Freddi e l’impianto di riscaldamento della ditta Cavallo. La decorazione del presbiterio, il restauro della statua del Cristo, del Tabernacolo  e delle porte, sono opera dello studio Aurifolia di Cirié. L’altare e l’ambone sono stati realizzati dalla ditta Petrini di Favria e incisi dallo scultore Frans Ferzini, la doratura è opera dello studio Aurifolia. L’opera si è potuta iniziare grazie al contributo di tanti benefattori, in particolare del compianto sacerdote valperghese don Felice Bergera .

Grazie a tutti coloro che ancora collaboreranno.


Giorgio ANSELMI (nota1)

Note Biografiche

Nasce a Valperga il 19 Ottobre 1873. Vive con la famiglia a Torino, si laurea in Giurisprudenza all’Università di quella città ma non esercita la professione forense. Si dedica invece all’amministrazione della cosa pubblica, in particolare nell’ambito della Provincia di Torino. Nel 1907 è Consigliere del Mandamento di Cuorgnè presso la stessa Provincia, e nel 1920 viene nominato dal Consiglio Presidente della Deputazione Provinciale di Torino. A seguito della soppressione del Consiglio Provinciale nel quadro della riforma amministrativa attuata dal governo fascista (legge del 27 Dicembre 1928) rimane in carica quale Commissario Straordinario, e viene successivamente nominato Presidente con Regio Decreto nel 1929 e riconfermato nella stessa carica sempre con Regio Decreto nel 1933.

Questa ultima riconferma alla Presidenza della Provincia fa maturare le condizioni perché Giorgio Anselmi possa essere proposto, con relazione del Sen. Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon,  per la nomina a Senatore del Regno, nomina che viene convalidata il 19 Dicembre di quell’anno (nota2) . Partecipa a varie Commissioni di lavoro del Senato. E’ Vice Presidente della Cassa di Risparmio di Torino e membro del Consiglio di Amministrazione della Società Reale Mutua di Assicurazione. E’ membro della Commissione Nazionale delle strade.

Nel 1943 la sua casa di Torino viene distrutta dai bombardamenti e il Senatore Anselmi si rifugia nella sua casa di Valperga, che sarà sino al termine la sua residenza.

Dopo la guerra il Senato viene trasformato in organo elettivo, e tutti i membri del precedente Senato del Regno (e quindi anche l’Anselmi) sono deferiti d’ufficio all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il Fascismo; tuttavia il suo nome non è compreso nella lista dei senatori per i quali, in data 7 agosto 1944, il Conte Sforza, alto commissario per le sanzioni contro il fascismo, chiede la decadenza dalla carica per le colpe previste dall’art. 8 DLL 27 luglio 1944, n 159 “aver contribuito al fascismo e condotto l’Italia in guerra”; vengono inoltre riconosciuti i suoi meriti e la sua non acquiescenza a molti ordini del regime fascista. In definitiva la stessa Alta Corte di Giustizia, con l’ordinanza di rigetto della richiesta di decadenza del 31 Gennaio 1946, gli conserva le prerogative onorarie del titolo di Senatore.

Nonostante la rispettabile età, continua ad occuparsi della cosa pubblica come membro del Consiglio Nazionale delle Strade, sposando la causa dei valichi alpini e dei collegamenti stradali di montagna, e diventa Presidente del Comitato Promotore delle Strade delle Alpi Occidentali

Ancora in piena attività, muore all’improvviso l’8 Ottobre 1961, all’età di 88 anni.

L’impegno nella Amministrazione Pubblica

Fin dall’inizio della sua attività pubblica nel 1907 egli mostra grande interesse per i problemi della sua terra e delle sue montagne. Quando, nel 1919, il re Vittorio Emanuele III si dichiara disposto a regalare allo Stato italiano i 2100 ettari della riserva di caccia nel Gran Paradiso, purché vi si crei un parco nazionale, egli assume la presidenza della Commissione Reale per la costituzione del Parco. Il 3 dicembre 1922 viene istituito il Parco nazionale del Gran Paradiso, il primo parco nazionale italiano, e Giorgio Anselmi ne diviene il primo Presidente.

Al Parco e alle bellezze naturali che custodisce rimarrà sempre molto attaccato, e in tempi più recenti si deve alla sua instancabile e tenace attività la realizzazione della strada del Colle del Nivolet.

La lunga esperienza di amministratore maturata nella sua qualità di Presidente della Provincia fa sì che anche la sua attività in Senato sia orientata soprattutto alle leggi e ai provvedimenti che riguardano gli enti locali; così si occupa di vari Comuni del Canavese, della Valle d’Aosta, del Cuneese, del Monferrato e del Lazio, degli Ospedali e Istituti Clinici di Torino, nonché di provvedimenti di carattere generale riguardanti la previdenza e l’assistenza dei dipendenti di Enti parastatali ed assimilati, lo stato giuridico dei Segretari comunali e provinciali, e gli uffici di conciliazione.

Il contatto costante con il territorio, che ha caratterizzato tutta la sua esperienza di amministratore, fa maturare il lui il convincimento che elemento fondamentale per la crescita e il progresso delle aree marginali è la disponibilità di adeguati mezzi di comunicazione: questo spiega la sua costante presenza nelle varie Commissioni Strade, il suo costante interessamento per la realizzazione di vie di comunicazione, che continua anche dopo il suo mandato senatoriale: oltre alla già citata Strada del Nivolet, egli si fa promotore di altre iniziative del genere, tra cui, da europeista ante litteram, la realizzazione di un collegamento fra Canavese e Francia attraverso il Colle della Galisia. Per questo suo interessamento concreto alla realizzazione di vie di comunicazione transnazionali riceve dalla Francia l’onorificenza della Legion d’Onore.

Giorgio Anselmi e Valperga

L’attaccamento di Giorgio Anselmi al Canavese e a Valperga in particolare è testimoniato da molti progetti, idee, realizzazioni fra i quali spicca l’iniziativa per il ricupero e il restauro della Chiesa di San Giorgio. Questa chiesa, sorta nel suo nucleo primitivo intorno all’anno 1000, aveva subito nel tempo moltissimi rifacimenti, ingrandimenti, migliorie ed aveva toccato il culmine del suo splendore tra il 1400 e il 1500 grazie all’impegno dei Conti di Valperga che vollero questo luogo sacro come testimone della loro generosità e del loro peso anche politico e vi profusero impegno e risorse per l’arricchimento architettonico e decorativo, e a quel periodo risalgono gli affreschi che rendono questo monumento un luogo unico nel panorama artistico del Piemonte occidentale. Ma a partire dal 1600, a causa di varie vicissitudini iniziò un lento ed inesorabile declino, al quale i patroni, cioè i discendenti dei Conti di Valperga, ai quali spettava la responsabilità del mantenimento, non seppero o non ebbero la possibilità di porre argine. Si giunse alfine al 1936, quando la Curia di Torino, previo l’espletamento della procedura di rito, dichiarava decaduti i patroni dal diritto di giuspatronato.

A questo punto interviene Giorgio Anselmi, che, mettendo a frutto sia la sua posizione di Senatore, sia la lunga esperienza amministrativa maturata alla guida della Provincia di Torino,  riesce ad ottenere nel 1937 un primo intervento esplorativo del restauratore Pintor, che ritrova le prime testimonianze degli imponenti affreschi rimasti fino ad allora nascosti da scialbi di calce e sovrastrutture che nel tempo erano state maldestramente sovrapposte alla chiesa medioevale. Sulla base di questi ritrovamenti viene definitivamente accantonata l’ipotesi di un abbandono definitivo dell’edificio, ed il Senatore Anselmi riesce ad ottenere i finanziamenti necessari per il completo restauro e ripristino della chiesa di San Giorgio.

A testimonianza dell’impegno e della dedizione di Giorgio Anselmi alla causa del restauro della Chiesa di San Giorgio vanno ricordati i numerosissimi documenti rinvenuti negli Archivi della Provincia di Torino (il cosiddetto “fondo Anselmi”) e recentemente rivisitati nel quadro di una iniziativa di studio sulla Chiesa promossa dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici del Piemonte e dal Politecnico di Torino.

Non meno importante dell’impegno di tipo amministrativo volto al reperimento di fondi e all’organizzazione dei restauri è stato l’impegno di studio e di ricerca sulla storia, l’arte e l’architettura della Chiesa di San Giorgio. Da questi studi, lontani peraltro dalla sua formazione culturale e professionale, fu l’Anselmi letteralmente affascinato: scrive a questo proposito “ad esso (studio) non ho saputo sottrarmi, attratto dal fascino, per me nuovo, di vedere immagini ingenue od artistiche, sepolte da secoli, disvelarsi e rivivere nel paziente scoprimento…” I risultati di questo suo attento lavoro di ricerca sono stati pubblicati nel 1943 per i tipi della SATET con il titolo, invero molto riduttivo: “La Chiesa di San Giorgio in Valperga: Raccolta di dati”. Questo volume, ricco di informazioni e di documentazione fotografica, costituisce ancora oggi la maggiore fonte di documentazione sulla Chiesa, sulla sua storia e sui suoi affreschi.

Per la sua Valperga aveva inoltre concepito un progetto ambizioso: la realizzazione di una strada panoramica di collegamento fra il capoluogo e Belmonte. Dalla Provincia di Torino aveva ottenuto il progetto definitivo ed un primo stanziamento per l’avvio dell’opera che tuttavia, forse anche a causa della sua scomparsa, non fu mai portata a termine.

L’eredità di Giorgio Anselmi.

Giorgio Anselmi rinunciò a formarsi una sua famiglia. Con il suo testamento volle che fossero beneficiati tra gli altri il Comune di Valperga e la Provincia di Torino.

Al Comune assegnò un vasto appezzamento in adiacenza alla sua casa avita, sul quale successivamente sarebbe stato realizzato il Campo Sportivo.

Alla Provincia di Torino andò il fondo librario (il “fondo Anselmi”) e tutto il suo archivio. Da questi emerge la figura di Giorgio Anselmi non solo quale raffinato collezionista, ma anche come ultimo epigono di una famiglia di studiosi e professionisti che si erano distinti, in epoche differenti, nel campo degli studi giuridici, medici e teologico-filosofici; pertanto questi testi riflettono, per la maggior parte, il tipo di attività professionale, le attitudini e gli indirizzi culturali dei loro possessori, e assumono, di conseguenza, un carattere di specializzazione ben definito. In particolare va segnalata una vastissima collezione di pubblicazioni sulla navigazione interna, che sono un vero e proprio serbatoio di dati di rilevanza mondiale per chi fa ricerca in questo settore.

Conclusioni

Giorgio Anselmi, fra i cittadini più illustri di Valperga, ha dedicato tutta la sua vita alla sua terra e alla sua gente, lasciando un patrimonio inestimabile di opere, di idee e soprattutto di esempio di dedizione e di servizio. Ha ricevuto in vita dai suoi concittadini affetto, stima e rispetto, e merita certamente che il Comune che gli ha dato i natali e che è stato da lui molto amato mantenga viva la sua memoria quale esempio per le generazioni future.

Nota 1. Questo documento è stato preparato nel mese di Febbraio 2005 dall’Associazione Amici di San Giorgio in Valperga – O.N.L.U.S. – a sostegno della proposta di intitolare a Giorgio Anselmi la piazza antistante la Chiesa di San Giorgio. Le fonti utilizzate sono:

–              Archivio del Senato della Repubblica

–              Archivio della Provincia di Torino

–              Archivio del Parco Nazionale del Gran Paradiso

–              Archivio privato Dott. Bertotti di Cuorgnè

–              Archivio del Bollettino Parrocchiale della Parrocchia di Valperga

Nota 2.. Va ricordato che il Senato del Regno, secondo quanto indicato nello Statuto Albertino e nelle successive modificazioni, era un organo non elettivo (e quindi senza connotazione politica o partitica), ma composto da membri nominati con Regio Decreto e appartenenti a varie categorie che davano titolo appunto all’ingresso nel Consesso Senatoriale. Fra queste categorie quella riguardante l’Anselmi era la 16a, che comprendeva i “membri dei consigli di divisione dopo tre elezioni alla loro presidenza”. Proprio in occasione della nomina dell’Anselmi sorsero alcuni dubbi di legittimità in quanto lo statuto parlava di “elezione” alla presidenza dei Consigli di Divisione, mentre l’Anselmi fu sì eletto la prima volta, ma per le successive, essendo stato soppresso il Consiglio di Divisione, fu nominato con Regio Decreto; i dubbi vennero sciolti a favore della nomina a Senatore dal Senato stesso con la delibera di convalida del 19 Dicembre 1933.

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IL CROCIFISSO DEL FRONTONE

Indicato dall’Anselmi anche come “Crocifisso del frontone”, è entrato a far parte dei reperti artistici contenuti nella chiesa di San Giorgio solo in tempi relativamente recenti: infatti, durante i restauri iniziati nel 1936, esso fu rinvenuto frantumato in parte in un solaio da Vittorio Mesturino, sovrintendente ai monumenti e responsabile del restauro della chiesa.

Riconoscendone il pregio artistico (“di efficace e austero verismo” secondo l’Anselmi) e intuendone la datazione cinquecentesca, lo stesso Mesturino lo fece sistemare, ricomporre e collocare in San Giorgio.

Rilievi eseguiti in occasione del recente restauro hanno in parte confermato le intuizioni del Mesturino: è stato infatti accertato che le parti principali del Cristo, e cioè la testa, il corpo e gli arti inferiori, sono scolpiti in un’unica struttura lignea in noce, di epoca cinquecentesca.

Le braccia invece sono realizzare con un’essenza lignea diversa dall’originale, probabilmente abete, sono unite al corpo attraverso un incastro ligneo, e sono il frutto di un intervento ricostruttivo che, per la tecnica impiegata e per le caratteristiche degli elementi accessori usati (chiodi a testa piramidale), si può collocare in epoca ottocentesca.

La croce lignea appartiene probabilmente ad un intervento ancora successivo di adattamento all’ambiente o alla collocazione (presumibilmente quello curato dal Mesturino) ed è realizzata con legno di pioppo.

Il crocifisso era all’origine completamente dipinto; parte della superficie pittorica (quella che è stato possibile restaurare) è ancora oggi visibile.

Il crocifisso è rientrato a san Giorgio nel mese di maggio 2007,  il restauro è stato offerto dalla sig.ra Alma in  memoria di  Marco VITTONE.

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